QUADRIENNALE LA XV EDIZIONE ROMANA
Calderone, sciatteria, compromessi sono in genere i termini più adatti per descrivere la Quadriennale di Roma. Al cospetto di questa 15ª edizione, però, occorre ridiscutere o quanto meno ridimensionare il giudizio. Un allestimento sobrio, aperto e luminoso scongiura intanto l’ effetto fiera. In secondo luogo, pur frutto delle scelte individuali di cinque curatori diversi per storia e visione, la mostra esprime un confronto rispettoso e l’ intesa almeno su un presupposto: invitare solo 100 artisti, tutti esordienti negli anni Novanta. Fa eccezione Luciano Fabro, cui è dedicato un omaggio a un anno dalla scomparsa. Autunno, due rocchi di marmo scuro che slittano l’ uno nell’ altro trattenendo una sfera bianca, poggia al centro della rotonda e impronta l’ intera rassegna. Fabro, infatti, è un maestro che sprona ancora a pensare con intelligenza e anticonformismo quanti gli stanno intorno, come Protti, Morandini, Airò, Moro e Citterio, ex allievi di Brera e della Casa degli Artisti. Tra le sue ultime prove, Autunno evoca significativamente «Lo spirato» degli esordi: è, come dovrebbe essere a suo dire tutta la scultura, «un atto politico e come tale agisce tramite le forme etiche». Ciò premesso, come in ogni Quadriennale che si rispetti, c’ è di tutto, dalla pittura alla scultura, dal video alla fotografia all’ installazione. Le sale non sono divise per generi ma neppure eccessivamente contaminate; la pittura, ad esempio,certamente l’ area più debole, è raggruppata in ambiti coerenti. Forte e impegnata, e non solo numericamente, la presenza femminile. A partire dai Tulipani neri di Esposito, che si rivelano essere il corpo rovesciato di donne velate che emettono un leggerissimo sibilo. Se Tesi fotografa interni di carceri femminili, Beecroft ripropone in foto la performance veneziana in cui alcune donne del Darfur si rotolano in un bagno di sangue. La dialettica introversione-apertura è leggibile nella rosa dei venti specchiante di Guareschi ma anche nella sequenza in cui Spaziani alterna la sua immagine saltellante ai disegni di sagome informi, forse donne accovacciate. Ancora, mentre Casolaro fa scorrere sulla schiena di persone comuni le storie di morti sul lavoro, De Lorenzo presenta calchi di parti del suo corpo in feltro, mentre Losi fa ricamare da sarti arabi le coperte con i disegni dei molluschi da cui si estrae il petrolio. Un omaggio velato ad Alighiero e Boetti, come il puzzle in bianco e nero di Karpüseeler. Sulle mappe di grandi città lavora Di Maggio incidendole su saponette di Marsiglia custodite in scatole preziose. Se gli ambienti si limitano all’ osservatorio di Diego, che ha misure del suo studio, e al tapis-roulant di Paris che procede in direzione opposta a quella in cui si cammina, fra le grandi installazioni segnaliamo il gong di Rudiger, la pelle di dromedario in carta pesta di Perino & Vele, dedicata al segretario di stato americano «Dick», e la Deriva di Grassino, la carcassa di una macchina rivestita di spugna nera sintetica da cui esplodono tubi dello stesso materiale. A giro concluso, però, quella piacevole sensazione iniziale di armonia e sobrietà lascia un po’ raggelati: scontri poetici e passioni critiche sono proprio distanti, come sedati. 15ª QUADRIENNALE D’ ARTE DI ROMA Roma, Palazzo delle Esposizioni, sino al 14 settembre. Tel. 06/39967500