intervento al Consiglio Nazionale delle Ricerche il 10 gennaio 2024
E’ con grande piacere e soddisfazione che porto il saluto dell’Associazione Arte in Memoria a questa importante iniziativa organizzata dal CNR in memoria di 4 persone che ne sono stati membri attivi. Le pietre che abbiamo appena installato presentano due anomalie rispetto alla maggioranza di quelle installate a Roma nelle 14 edizioni precedenti e che sfiorano il numero ragguardevole di 500. Non sono state infatti commissionate dai famigliari dei deportati e non sono collocate davanti alla casa da cui sono stati portati via. Si tratta di due elementi fondamentali del progetto. La richiesta da parte delle famiglie registra infatti il passaggio dalla memoria privata custodita gelosamente e con grande pudore per anni all’interno dei singoli nuclei famigliari alla memoria pubblica da loro affidata alla città, ai suoi cittadini, alle sue istituzioni. A queste ultime spetta il compito di salvaguardarle e custodirle assumendo la responsabilità della memoria dei loro cittadini migliori. E sulla capacità delle istituzioni di vigilare e proteggere questo bene prezioso si gioca buona parte della credibilità e affidabilità delle amministrazioni locali in tema di memoria. Non solo. La commissione da parte delle famiglie garantisce il carattere in progress del progetto: la pietra è richiesta quando le famiglie si sentono pronte a compiere questo passaggio del testimone. La differenza rispetto a un mandato istituzionale è sostanziale, la stessa che passa tra un monumento tradizionale, deciso centralmente, eretto per ricordare un evento che accomuna, al monumento diffuso degli Stolpersteine, a questa mappa della memoria che ogni anno aggiunge nuovi tasselli “scomponendo e frazionando la memoria collettiva”, come efficacemente spiega la storica Regine Robin. Demnig ammette del resto che uno degli obiettivi del progetto è ricomporre le famiglie, proprio nel luogo in cui sono state costrette a separarsi. Riunire quanti non ci sono più con quanti sono sopravvissuti e con le generazioni successive che, grazie alle pietre e intorno a esse, si ritrovano spesso per la prima volta, provenienti dai quattro angoli del mondo. Nel caso di Giacomo, Gemma, Fiorella e Luciana Anticoli, non ci sono in vita famigliari che potessero commissionare le pietre. La scelta del CNR di sostituirsi a essi non è a mio avviso dettata solo dalla loro assenza. Gli Anticoli, infatti, come è stato ricordato nei vari interventi, erano, in ruoli diversi, parte di una grande famiglia scientifica che, nel 1939, li ha rinnegati sospendendoli dal servizio, costringendoli alla fuga, alla clandestinità, quindi alla deportazione e alla morte. La decisione del CNR assume così il carattere di riparazione, di riscatto, esprime la volontà di riportarli nel loro luogo di lavoro, da dove le leggi razziste li hanno espulsi, riunendoli a quelli che vi lavorano oggi, alle migliaia di studenti che vi transitano, inducendoli a ricordare giorno dopo giorno quanto è accaduto, a impegnarsi perché la piaga dell’antisemitismo venga estirpata per sempre, in tutte le forme odiose che nel tempo e oggi con particolare virulenza assume. E’ una situazione analoga a quella del grande archeologo, collezionista e mercante d’arte Ludwig Pollack, anche lui deportato il 16 ottobre ’43 insieme alla moglie e a due figli. Le pietre che li ricordano sono state collocate nel 2022 a piazza SS.Apostoli, all’ingresso di Palazzo Odescalchi, dove lo studioso abitava e dove, come racconta il bel libro “Le ultime ore di Pollak” di Hans von Trotha, un messo inviato del Vaticano ha cercato inutilmente di convincerlo a fuggire e a salvarsi. Pollack ha deciso lucidamente di condividere il destino del suo popolo.
Membro dell’Istituto Archeologico Germanico, frequentava regolarmente e assiduamente la Bibliotheca Hertziana istituita nel 1913 per volontà testamentaria dalla mecenate tedesca di fede ebraica Henriette Hertz, come biblioteca dedicata agli studi storico-artistici. Il 1 maggio 1933 così annotava con sconcerto Pollack sul suo diario: “Siamo passati per via Gregoriana dove, con nostra somma meraviglia, abbiamo visto pendere, sopra all’ingresso della Bibliotheca Hertziana, accanto alla bandiera dell’Impero e a quella italiana, la bandiera con la croce uncinata! Che amarezza“. Ancora più amaro fu il fatto che proprio a lui, ormai sessantasettenne e, secondo le sue stesse dichiarazioni „il più antico e benvenuto frequentatore della Hertziana”, nell’aprile del 1935, il neo direttore Leo Bruhns ritirò la tessera per l’accesso alla biblioteca. Ecco, le 4 pietre dedicate alla famiglia Pollack sono state commissionate e offerte da alcuni studiosi della biblioteca Hertziana, con lo stesso spirito, mi piace pensare, con cui oggi i responsabili del CNR hanno donato le pietre ai 4 membri della loro famiglia scientifica.
La seconda anomalia riguarda il luogo. Generalmente le pietre sono installate difronte all’ultima abitazione del deportato, la soglia, lo spartiacque tra una vita tranquilla trascorsa tra gli affetti e lo strappo brutale verso un destino di dolore e di morte. Come disse nel corso della prima edizione l’instancabile testimone Alberta Levi Temin, al cospetto dell’artista che installava le pietre dedicate agli zii Mario Levi e Alba Ravenna Levi e al cugino Giorgio di appena 16 anni, “i miei cari, almeno i loro nomi, tornano a casa, non sono più nel vento. Qui, su questo marciapiede cammina la vita e i loro nomi ne faranno parte”. Ecco, le pietre d’inciampo consentono non solo di ridare dignità di persone a chi non ha lasciato traccia ma anche di ricordare a quanti oggi abitano dove loro hanno abitato cosa è accaduto e di interrogarsi su cosa avrebbero fatto in quel frangente: aiutato, nascosto, girato con indifferenza la testa dall’altra parte? Quesiti analoghi esigono oggi da ognuno di noi risposte decise e tempestive.
Le pietre non sono state installate difronte a quella che presumibilmente è stata l’ultima residenza degli Anticoli, ma a piazzale Aldo Moro, dove hanno lavorato e vissuto fino alla loro espulsione. Di nuovo, penso che il motivo non sia accidentale: gli organizzatori di questa giornata hanno valutato che coinvolgere una istituzione prestigiosa come il CNR in veste di committente avrebbe consentito alla verità storica di imporsi e tradursi in memoria condivisa.
E’ già successo; penso alla pietra dedicata a Milano al grande architetto Giuseppe Pagano, fascista della prima ora, convinto che la modernità in architettura potesse coniugarsi con quella caldeggiata dal duce. Dovette ricredersi pagando con la vita la sua buona fede: tra il ’36 e il ’37, con la fondazione dell’Impero e l’alleanza con la Germania, quando ogni illusione di cambiare il regime o quanto meno di poter convivere con esso crollò miseramente, ha abbandonato il tavolo da disegno, voltato la faccia alla dittatura e combattuto nelle file della Resistenza; fu arrestato, torturato, deportato e assassinato nel campo di Melk, a tre giorni dalla Liberazione. Autore di uno dei pochissimi edifici moderni di questa Città Universitaria, la facoltà di Fisica, Pagano non è ricordato davanti alla sua abitazione ma nella sede dell’Università Bocconi di Milano, suo capolavoro razionalista. Così le parole incise sulla pietra e il luogo in cui è installata additano il prezzo pagato da questa nobilissima figura di combattente per la libertà, la democrazia e la modernità.
Un’ultima suggestione. Si è insistito stamattina sul fatto che ad avviare il progetto a Roma siano state le pietre dedicate non a ricercatori, professori o studenti ma a un dipendente, a un usciere come Giacomo Anticoli. Giustamente, perchè l’aspetto democratico e antigerarchico è uno dei cardini del progetto di Demnig. Diversamente dal cimitero dove le tombe si distinguono a seconda delle possibilità economiche del destinatario, le pietre d’inciampo sono tutte uguali per forma, dimensione, materiali, carattere tipografico, perchè tutti hanno diritto di essere ricordati nello stesso modo, sobrio e discreto. A distinguere infatti i 150.000 deportati europei alla cui memoria sono state finora installate le pietre, è solo il nome, i dati anagrafici, il luogo del loro tragico destino.