(a cura di) Bruno Corà
Come mai il Consiglio comunale di Gottinga decide di erigere, in tempi non sospetti, un’opera pubblica per ricordare la sinagoga distrutta l’8-9 novembre 1938, durante la famigerata Notte dei Cristalli, quando 1400 sinagoghe e negozi degli ebrei sono saccheggiati e distrutti in tutta Europa? Come mai la scelta cade su Corrado Cagli? La sinagoga, costruita nel 1870, è in stile neoromanico. A dedurre dalle immagini, è imponente come quelle che le comunità ebraiche erigevano allora in tutta Europa a testimonianza di una raggiunta emancipazione e integrazione. Nel 1940 il lotto è venduto alla Cassa di Risparmio mentre nel 1952 è restituito alla comunità ebraica che, nell’impossibilità di utilizzarlo, lo vende alla Federazione dei Sindacati Tedeschi che vi costruisce la sua sede nel 1955. Qui viene affissa nel 1960 una targa commemorativa mentre il lotto triangolare è utilizzato come parcheggio. Solo nel 1970, per iniziativa della Società per la cooperazione ebraico-cristiana, il Comune decide di erigere un Memoriale. Il 6 marzo 1970, grazie all’assessore Hannah Vogt, si costituisce la Fondazione per la commemorazione della ex sinagoga.
Quanto a Cagli, due elementi lo rendono assolutamente compatibile con l’incarico. La sua storia, innanzitutto. Nonostante sia ebreo, Cagli ha negli anni trenta una carriera brillantissima, costellata di mostre e commissioni pubbliche che gli guadagnano un grande consenso anche tra le file del regime. La coesistenza tra visioni politiche e poetiche antitetiche è infatti possibile fino al 1936, alla fondazione cioè dell’impero e alla radicalizzazione della vocazione razzista del regime che sfocerà nella promulgazione delle leggi razziali del 1938, di cui Cagli sarà una delle migliaia di vittime italiane. Lo attestano sia il concorso per la Città Universitaria di Roma del 1932 dove, sulla piattaforma rigidamente simmetrica disegnata da Marcello Piacentini, convivono gli osceni Propilei di Arnaldo Foschini, il tronfio Rettorato di Piacentini, il sobrio razionalismo della facoltà di Chimica di Pietro Aschieri e di quella di Fisica di Giuseppe Pagano, sia il piano urbanistico per l’E42 redatto da Piacentini, ma anche da Luigi Piccinato, Pagano, Luigi Vietti ed Ettore Rossi. Se nel 1938 Piacentini estromette i colleghi “moderni”, decretando la fine di ogni possibile convivenza, come denuncia sconsolato e disperato Giuseppe Pagano[1], già l’anno precedente antisemitismo e intolleranza per qualsiasi poetica che esuli dai dettami di Novecento, si coalizzano contro Cagli[2]. Certamente più fortunato di Pagano, unitosi alle file della Resistenza, arrestato, torturato e ucciso nel campo di Gusen, Cagli è comunque costretto all’esilio: per tanti ebrei italiani assimilati e integrati, l’essere ricondotti a forza entro una identità nella quale non si riconoscono, è una sciagura tanto inaspettata quanto intollerabile. Si trasferisce prima a Parigi, città famigliare dove espone regolarmente dal 1933, e nel 1939, dopo la mostra alla Galerie des Quatre Chemins, salpa alla volta di New York. Nel 1941 si arruola nell’esercito americano e come soldato della prima armata partecipa alla campagna d’Europa: in Inghilterra, Normandia, Belgio, Francia, Germania, fino alla liberazione, nell’aprile 1945, del campo di Buchenwald, di cui sono testimonianza gli straordinari e strazianti disegni. Nel 1947, la sua prima mostra a Roma dopo il conflitto è ostracizzata e violentemente attaccata dagli astrattisti-marxisti di Forma 1 che lo tacciano di opportunistica connivenza con il regime [3]. La cosa non sorprende: alle soglie della guerra fredda, un trattamento sospettoso e ostile è riservato a tutti gli intellettuali esuli negli Stati Uniti, soprattutto se di fede non comunista.
Il secondo motivo è più contingente. Nel 1970 Cagli è a Gottinga per allestire una mostra che inaugurerà il 3 maggio nel Kunstverein per trasferirsi poi il 9 agosto nella Kunsthalle di Kiel. Una retrospettiva con 135 tra quadri, disegni, sculture e arazzi. Non è documentato quando, come e a chi viene l’idea di invitarlo: l’ipotesi più plausibile è l’incontro a Roma tra Cagli e Heinrich Wurm, membro della presidenza del Kunstverein di Gottinga, che è nella capitale per studiare storia dell’arte. Ne fa fede una lettera del 13 novembre 1969, scritta in italiano come le successive, con la carta intestata del Kunstverein, in cui Wurm accenna a una lista di opere da esporre l’anno successivo, chiedendone la disponibilità[4]. L’altra ipotesi è che il tramite sia invece il sociologo Peter Kammerer, professore a Urbino, grande amico di Cagli e fortemente impegnato in ambito sociale. Ipotesi contestata, e con rammarico, da lui stesso in occasione della attuale mostra romana.
Nel corso della esposizione del 1970 iniziano le trattative per l’incarico a Cagli di una “scultura” per ricordare la distruzione della sinagoga. L’artista deve aver espresso il suo parere favorevole se il 5 maggio dello stesso anno, nell’incontro con il sindaco Walther Lessner, gli viene conferito ufficialmente l’incarico. Nella stessa occasione Cagli propone di incorniciare la scultura con una zona verde dove i bambini possano giocare[5]. A margine dell’invito inviato a Cagli per l’inaugurazione a Kiel il 7 agosto, Wurm aggiunge una nota a mano: “aspettiamo con interesse la sua idea per la fontana commemorativa”. Poiché l’accenno alla fontana si trova anche in lettere successive, pur non suffragato da alcun disegno o progetto, forse la nota fa riferimento al mosaico realizzato da Cagli nel 1935 a Terni nella fontana di piazza Tacito. Il catalogo della mostra al Kunstverein contiene il testo entusiasta di Giuseppe Ungaretti che definisce Cagli “il più dotato degli artisti che io abbia conosciuto” perché, a differenza di Carrà e di Picasso ha una “grazia-dono” che gli consente, al cospetto di una tela, di sapere dove vuole arrivare. Soprattutto, a dispetto di un apparente eclettismo dell’artista, Ungaretti riscontra una profonda coerenza: “Tutto Cagli, dalle cose che faceva da bambino alle cose che fa oggi, è sempre il medesimo Cagli”[6]. La lettera del 26 settembre 1970, indirizzata da Wurm al “Professore e Maestro”, segue l’incontro con Cagli a Roma il 18 settembre. Accenna in conclusione alla “spedizione della mostra”, evidentemente da Kiel a Roma, e agli “abbozzi per il monumento a Gottinga”[7]. Il 15 dicembre 1970 il dottor Schilling del Consiglio municipale di Gottinga dichiara di aver ricevuto un modello della scultura in argento e uno in plexiglass e che i membri del Comitato per la cultura e l’edilizia del Consiglio approvano il progetto che prevede “travi di acciaio posizionate aldisopra di un sistema di fontane dodecagonale del diametro di 10 metri”[8]. Una settimana dopo, il 22 dicembre 1970, il sindaco e il direttore dell’amministrazione comunale esprimono a Cagli il loro entusiasmo per il progetto presentato la settimana precedente dall’architetto Cosimo Gentile e dall’assistente di Cagli, Franco Muzzi, ma anche per il “proporzionamento nei riguardi della situazione urbanistica”[9]. Un passo indietro.
Il primo studio preliminare per il Memoriale è un modellino in cartone pieno di 14×26 cm, custodito presso l’Archivio Cagli, la cui forma è una doppia piramide speculare ottenuta dalla rotazione di un unico modulo, la Stella di Davide, frutto della sovrapposizione di due profili triangolari. Anche la piazza medioevale cui la scultura è destinata, ampia circa 1500 mq, è triangolare, cinta da due strade – la MaschStrasse superiore e inferiore. La stella è dunque allo stesso tempo opzione formale e simbolica.
Il secondo studio preliminare nasce dal precedente ma semplificato: una sola piramide in cui lo stesso modulo è costruito però con tondini di acciaio che ruotano fino a raggiungere una altezza molto considerevole. Il passaggio fondamentale è dunque da una scultura piena a una vuota, permeabile all’aria e alla luce.
E’ a questo punto che interviene, per consigli e suggerimenti, l’architetto Gentile, amico di Cagli, che calibra lo spessore dei tubi e le proporzioni. Costruisce un modello in legno a forma di piramide con ottantasei stelle sovrapposte, non saldate e di dimensione decrescente con il procedere in altezza. Lo porta a Cagli il quale, dopo averci giocato tutta la notte, lo chiama la mattina seguente per annunciargli che la scultura è finalmente risolta, attraverso una tripla rotazione degli ottantasei moduli in tre direzioni diverse. Il nuovo modello, riprodotto in argento dall’orafo Enrico Butini, ha le stesse proporzioni del precedente ma dimensioni appena maggiori. I triangoli sono ruotati di 4 gradi gli uni sugli altri e diminuiscono di 10 cm di lunghezza laterale in modo di assumere un andamento piramidale. “Il triangolo resta identico nella sua variazione, viene solo variato nella sua identità. […] Gli 86 triangoli d’acciaio si distinguono per grandezza, posizione e, nell’asse di rotazione, anche nella loro altezza”[10]. Una fotografia di Oscar Savio che riprende la scultura dal basso, suggerisce secondo Gentile di rendere la scultura fruibile coinvolgendo la piazza. “Perché Gottinga è una città universitaria, e gli studenti debbono trovare spazio per sedersi là sotto e incontrarsi, ritrovarsi, discutere, far vivere questo monumento”[11]. Di qui l’idea di progettare un invaso – anfiteatro a dodecagoni sovrapposti, decrescenti verso il basso e sfalsati, largo 10 metri nella parte superiore, 4 in quella inferiore, alto 2 metri e 30 – sul quale si erge, poggiata su sei putrelle di ferro incrociate a formare una stella di Davide, la scultura alta 6 m. Idea geniale: la scultura è allo stesso tempo autonoma nello spazio, generatrice di spazio, parte integrante dello spazio urbano.
Con il modello, i disegni, le foto dell’invaso e un progetto di massima per il disegno della piazza, dove le linee delle putrelle si prolungano a formare una sorta di fregio intorno alla cavità, Cagli e Gentile partono alla volta di Gottinga.
Nonostante l’entusiasmo espresso nella lettera del 22 dicembre, dopo tre-quattro mesi Cagli riceve un plico di disegni con una controproposta da parte del Comune di Gottinga: la scultura rimane sostanzialmente inalterata ma cambia in modo considerevole la soluzione urbanistica. Se le dimensioni esterne dell’invaso arrivano infatti a 17 m nella parte superiore e a 8 in quella sottostante, l’altezza si riduce a 1.70. Causa il deflusso delle acque, lo scavo della piazza non può infatti superare una certa profondità. Di qui, per renderlo fruibile, l’idea di sollevare di 80 cm le travi di ferro che sospendono il memoriale. La modifica più consistente è però la rottura della continuità dell’invaso, con l’inserimento di sei rampe di scale alternate a sei aiuole che dal livello della piazza raggiungono quello delle travi.
Il 23 febbraio 1971 Cagli risponde al sindaco Lessner e al dottor Busch, dichiarandosi “felice e onorato di progettare questo memoriale per la città di Gottinga”[12] e d’accordo a semplificare la base del monumento.
Il 24 novembre 1971, Busch risponde dichiarandosi felice che l’artista abbia accettato la “Variante III”. E conclude: “Tenendo conto di tutte le circostanze e in riconoscimento della sua generosità, vorrei offrirle una commissione di 5.000 DM. Sarei felice se questa proposta fosse accettata”[13]. Come sappiamo dalla lettera del dottor Shilling del 22 febbraio 1972, il Consiglio della città di Gottinga ringrazia Cagli per la “generosa rinuncia al compenso personale”[14]. Gentile e Cagli ridisegnano invece la piazza in tarsie di materiale lapideo naturale di due toni dello stesso colore che riprendono, nell’andamento labirintico a spirale, il dinamismo della scultura, amalgamandola e proiettandola nel tessuto urbano. Conclusa la parte progettuale, quella esecutiva sarà a completo appannaggio dell’amministrazione tedesca, senza alcuna possibilità di intervento da parte dell’artista e dei suoi collaboratori. Un modello in legno, in scala 1:2 è attualmente nella Pinacoteca Civica di Ancona, città natale dell’artista, donato da Franco Muzzi a conclusione della mostra “I tempi di Cagli” del 1980”[15].
L’inaugurazione è solenne e si articola in due giorni, l’8 e il 9 novembre 1973, in occasione del 35° anniversario della Notte dei cristalli. Apre un concerto di Bach con i saluti e i discorsi delle autorità, seguiti da un concerto di Mozart. Il secondo giorno, i concerti di apertura e chiusura sono invece di Mendelssohn-Bartholdy e di Brahms, mentre gli interventi sono riservati al borgomastro di Gottinga, al rabbino della Bassa Sassonia e di Hannover e al cantore di Hannover. Una folla enorme, come testimoniano le fotografie scattate quel giorno, assiste alla cerimonia, in piedi nel piazzale, entro l’incavo, ma anche affacciata ai balconi delle case circostanti. Wurm ricorda che il 6 ottobre dello stesso anno, approfittando del Kippur, la festività ebraica più solenne dell’anno, gli stati arabi attaccano Israele scatenando una nuova guerra. L’apprensione è enorme e tangibile, rende la cerimonia ancora più partecipata e l’intreccio tra passato e presente ancora più angoscioso. Ma la storia continua.
Il 10 luglio 1973, infatti, il Dr. Schilling comunica a Cagli la volontà della comunità ebraica di Hannover di attaccare su una parete dell’invaso una targa che così recita: “Anche se i monti si spostassero e i colli fossero rimossi, il mio amore non si allontanerà da te (Isaia 54,10) / Per commemorare la sinagoga bruciata nel 1938 e il percorso di sofferenza della comunità ebraica della città di Gottingen”[16]. Esattamente un mese dopo Cagli risponde approvando la proposta di cui chiede però dettagli dimensionali.
Le modifiche alla dimensione dell’ incavo e l’interruzione della sua continuità cambiano sostanzialmente la funzione del memoriale, da luogo d’incontro urbano a luogo di raccoglimento e preghiera. La targa funziona infatti come una sorta di riferimento, di orientamento per la preghiera, come, nella sinagoga, l’armadio contenente i libri sacri. Di contro, il nuovo disegno della piazza come pure le direttrici delle scale e delle aiuole che s’irradiano centrifugamente dall’esagono rompono ogni isolamento della scultura rendendola un perno urbano.
Infine, nel dicembre 1991 , il comune cambia il nome della piazza da piazza della Casa del Sindacato a piazza della Sinagoga e nel 1995 aggiunge cinque targhe in bronzo su cui sono elencati i nomi e le date di nascita dei 282 ebrei della città vittime del razzismo nazista.
Cosa distingue questo memoriale dai tanti realizzati prima e dopo? Non si tratta intanto di una forma chiusa ma dell’aggregazione di un modulo in una delle infinite possibili varianti. Il fatto che il modulo sia puro perimetro, rende l’opera leggera, dinamica e levitante. Non solo. Nel procedere della scultura in altezza si perde completamente l’identità della matrice di partenza. “La Stella di Davide smarrisce la sua identità e il suo tempo e diventa futuro dei tempi, memoria e profezia, ritorno alle origini (protologia) e fuga verso la fine (escatologia), torre di Giacobbe e torre di Babele”[17], commenta Carmine Benincasa nella corposa monografia curata con Wurm. E aggiunge acutamente: “Cagli parte dalla grecità ma ben presto rompe con Parmenide e con Pitagora, compie il suo parricidio… Uccidere il padre greco è un gesto che neppure un greco, Platone, è riuscito a compiere. Come può riuscirci un non greco?… Travestendosi da greco… fingendo di parlare greco… Il Logos greco non riesce a sopravvivere a scosse simili…”[18]. Nell’articolo coraggioso Discussioni sull’architettura redatto nel 1932,[19] Cagli contrappone la fazione dei “culturalisti” a quella dei “razionalisti”. A proposito dei primi, nell’impossibilità di giustificare le loro opere, li giudica “incapaci a percepire le misure del tempo a tangenza dello spazio” dunque “tagliati fuori dall’arte”. Quanto al “razionalismo”: ”L’architettura moderna si dice ‘razionale’ per determinare il carattere fondamentale della sua estetica. La quale è in funzione di una logica scarna, non mai aliena da preoccupazioni economiche: di tali preoccupazioni si valgono gli avversi ai nuovi e non vedono che quelle che sono state le determinanti della tendenza razionale in architettura sono ormai sommerse dall’alta marea dell’estetica che ne è scaturita. Estetica che sta al nostro tempo come un anello al dito, idolatra delle geometriche forme che lo spirito umano ha inventato, barbarica nell’assolutismo dei ritmi”[20]. Una equidistanza che manterrà negli anni: una convinta scelta di campo per l’architettura moderna, per un razionalismo che non si isterilisca in pura geometria, sull’esempio di Ignazio Gardella e dei BBPR, per un astrattismo non incompatibile con la figurazione, contro qualsiasi revival postmoderno. Nel Memoriale di Gottinga, non solo è impossibile risalire alla matrice geometrica della stella – se non alla base dell’incavo e alla sommità della scultura – ma non esiste neppure un punto di vista privilegiato da cui osservarlo; solo in movimento, girandovi attorno o entrandoci dentro, è possibile coglierne la complessità. “L’opera è l’ostinazione amara di una interrogazione errante”[21], conclude Benincasa con sentenza efficace. Un po’ come nel Museo ebraico di Berlino di Daniel Libeskind, la cui matrice, sempre la stella di Davide, pensata per collegare le abitazioni degli ebrei illustri della città, si trasforma progressivamente in una traiettoria sincopata di pura energia, in una direttrice spaziale ansiosa, inquietante e nevrotica. Se Wurm evoca le “Sculture spaziali” di Norbert Kricke e Brigitte Meyer-Denninghoff [22], la cui tridimensionalità è ottenuta attraverso vettori in movimento, il pensiero corre alle “Modular Structures” di Sol LeWitt, il cui modulo bianco cubico è aggregabile in tutte le dimensioni e posizioni dello spazio, ma anche alle strutture modulari di Buckminster Fuller e Konrad Wachsmann, altro esule politico dalla Germania nazista, approdato negli Stati Uniti nel 1935.
Un ulteriore aspetto fondamentale del memoriale è il movimento ascensionale, l’avvitamento dinamico verso l’alto, che ci conduce direttamente e inevitabilmente all’architettura barocca, come molti hanno scritto. Analogamente alle chiese barocche, una configurazione geometrica in pianta, triangolo, esagono od ottagono si perde, compenetra e fluidifica nel procedere in altezza. E’ così a S.Ivo alla Sapienza di Borromini a Roma ma anche a San Lorenzo e nella cappella della Sacra Sindone di Guarino Guarini a Torino. “La S.Sindone si eleva su di un cerchio e un triangolo che si compenetrano, si evolve poi con la sua cupola a coppa grazie a una geometria assai complicata composta di sei stelle soprapposte l’una sull’altra, offrendo altrettante possibilità di squarci e prospettive verso la luce quante ne ha l’opera di Cagli a Gottinga”[23].
Per Bruno Zevi, l’immagine di Cagli è, rispetto al barocco, “più ricca e polisemica, ruota ed oscilla, esige il moto, un impulso partecipativo… La sua testimonianza indica che persino con moduli standardizzati, quindi estremamente economici, si può attingere un linguaggio dinamico, anti-classico, emotivamente drammatico. La matrice geometrica, così decomposta e permutata, brucia la propria natura immobile, coagula l’atmosfera circostante innervandola di segnali. Una piazzetta muta e malinconica diviene vibrante”[24]. Non sorprende allora che il saggio “Ebraismo e concezione spazio-temporale dell’arte” sia affiancato dalla foto del memoriale di Gottinga[25]. Quali altri esempi possono aver guidato Cagli nella sua scelta? Certamente quelli moderni, non monumentali, retorici o celebrativi. “Gottinga potrebbe essere la forma per distaccare i monumenti da un irrigidimento monumentale e per far sì che possano esercitare la loro missione duratura e futura”[26]. E nel 1970 sono davvero pochi e frutto di aspre battaglie antiaccademiche. Basti pensare che il coraggioso monumento alla Resistenza di Udine, a firma dell’architetto Gino Valle – un monumento-piazza – inaugura nel 1969 dopo due anni di controversie nel corso delle quali il partito comunista si batte per contrapporgli la statua di un partigiano con il fucile alzato e i democristiani per una corona di spine con funzione di spartitraffico. Non sappiamo se Cagli fosse a conoscenza della soluzione di Udine ma l’opzione astratta e la simbiosi tra memoriale e piazza li rendono comunque confrontabili. C’è poi il mausoleo delle Fosse Ardeatine a Roma, il capolavoro a firma di Mario Fiorentino e Giuseppe Perugini, esito del primo concorso bandito nel 1945 nella Roma liberata, fonte anch’esso di aspre contese tra i famigliari che optano per soluzioni altisonanti e i progettisti, il primo caso di monumento inteso come percorso tra episodi dissonanti che ruotano intorno a un piazzale completamente vuoto. Nel Museo costruito successivamente è esposto un olio di Cagli tratto dai disegni di Buchenwald. In ambito razionalista, il primo caso che viene in mente è il memoriale ai Caduti nei campi di concentramento nazisti del 1946 nel cimitero monumentale di Milano: un traliccio di ferro verniciato di bianco al centro di un’aiuola in pendenza, dove, entro una teca trasparente, siede un’urna, cinta da filo spinato, contenente la terra proveniente dai campi. Intorno, asimmetricamente disposti, pannelli di marmo bianco tamponano porzioni del cubo; vuoti o vergati da scritte. Mentre sul prato, sette lastre di granito recano incisi in rosso i nomi dei martiri milanesi. Gli autori sono proprio i membri del leggendario gruppo di architettura BBPR (Banfi, Belgiojoso, Peressutti, Rogers), fondato nel 1931, che subiscono in prima persona la persecuzione, la deportazione e lo sterminio. Dopo l’8 settembre 1943 il loro studio in via dei Chiostri a Milano diventa centro di organizzazione e cospirazione del Movimento Giustizia e Libertà e di assistenza al passaggio in Svizzera di antifascisti ed ebrei. Banfi è arrestato il 21 marzo 1944 con Belgiojoso. Carcerato a San Vittore, parte dal Binario 21 per il campo di transito di Fossoli, di lì per Bolzano quindi Mauthausen. Muore a Gusen-2 di fame, stenti e torture il 10 aprile 1945, a soli 35 anni e a 15 giorni dalla Liberazione. Più fortunati sono invece Lodovico Barbiano di Belgiojoso, sopravvissuto alla detenzione a Mauthausen ed Ernesto Nathan Rogers che, dopo essere fuggito nel 1943 in Svizzera, è attivo nella Resistenza e, deportato a Gusen, torna nel 1945. Dopo la guerra i sopravvissuti riaprono lo studio e, mantenuta la stessa sigla, offrono la loro testimonianza progettando numerosi memoriali nei campi, a Gusen e a Ravensbruck.
Il 12 ottobre 1970, subito dopo l’inaugurazione del Memoriale di Gottinga, Enrico Peressutti scrive a Cagli. Già dalle prime righe si coglie un’antica dimestichezza; in occasione della VI Triennale Internazionale di Milano del 1936, infatti, Cagli aveva esposto La Battaglia di San Martino e Solferino sulla parete di fondo della Sala delle Priorità Italiche realizzata dai BBPR. Peressutti parla della ripresa di un discorso da riallacciare “in un’opera comune” e invita ufficialmente Cagli a realizzare un affresco per il Castello dei Pio a Carpi, dove il gruppo sta realizzando il Museo della deportazione[27]. Gli altri invitati sono gli amici Guttuso, Carlo Levi e Alberto Longoni. Allega disegni e piante del museo, il progetto di ristrutturazione, quello museografico, dell’allestimento, delle due pareti a disposizione di Cagli. Il 12 luglio 1971, Peressutti invita Cagli alla commemorazione dei fucilati di Fossoli e a dare indicazioni circa la traduzione in graffito su 20 mq di parete di due disegni di Buchenwald, sagome scheletriche riverse a terra sullo sfondo del paesaggio del Lager[28].
Infine, il riferimento forse più calzante per la genesi del Memoriale è l’attività pittorica dello stesso Cagli. Secondo Wurm, l’ossatura dell’opera affonda le radici nell’indagine sulle strutture modulari, cellulari, reticolari come Elica grande del 1973, Sistema di curve variabili del 1969 o, assai prima, La gabbia del 1949, Estri modulari o Ritmi cellulari dello stesso anno. Esiti che, a detta di Estro-cifrato del 1949, risentono fortemente dell’influenza di Paul Klee. Reticoli bidimensionali di diversa matrice si addensano e rarefanno generando profondità. “Il lavoro del ‘62 è anzitutto un’illusione spaziale scultorea entro la grafica. Cagli gira di continuo attorno ad una forma, creando con inclinazioni e col ritmo dei contorni ripetentesi, volume e plasticità, così come le linee di una carta geografica indicano le montagne”[29], commenta a proposito di Colloquio, sorta di orografia. Concorda Duilio Morosini[30] quando riconduce il Memoriale agli stessi cicli pittorici del 1949, ma anche a opere quali Mutazioni modulari, Saladino del 1969, Boidea del 1971 e Pale del 1973, pitture il cui modulo circolare, comprimendosi, dilatandosi e torcendosi, genera forme organiche complesse su un fondo piatto dal colore squillante. Ma, soprattutto, ai “Disegni di quarta dimensione”, tra il 1947 e il 1949, esposti alla Galleria del Secolo[31], generatori di sculture quali Uccello e Diogene, sui quali Massimo Bontempelli scrive parole magistrali definendoli “quarto regno della natura”. Una stagione nata “dal rinnegamento totale delle forme d’ogni cosa viva […] Descrivere quel mondo è difficile: nato di pura pittura, contro le parole si rivolta. Possiamo, nel folle tentativo, anche prendere le mosse dal rituale geometrico; ma d’una geometria tenuta in fusione continua. Roteamenti di spazi ellittici, intervento lontano di qualche pallida sfera, intersecarsi di nature lineari entro nature corpose; pance di mandole, toppe di serrature, qualche volta apparire (ma raro e male afferrabile, quasi il lembo d’un sogno al risveglio) di frammenti che furono di vivi, del teschio d’un uomo o d’un bove. Cogli un muoversi di disco che forse contiene in sé una memoria della ruota. Ma dominante è la linea dell’uovo”. Astrazione?, si chiede, macchè, tutta la pittura astrattista “rimaneva nella mia memoria […] quale un mondo rimasto geometrico, gelido, innaturale, astratto per l’appunto. Qui invece, sia vicino sia lontano dalla visione, rivedo in me un mondo concretissimo, respirante, tiepido cioè corso d’un suo sangue. Questa è la sua naturalezza. Alla quale non si arriva per formule, ma per immaginazione lirica. Guai al pittore che da cosiffatti esempi volesse trovare una formula” [32]. Di nuovo, contro “l’idolatria delle forme geometriche”.
A partire dagli anni ottanta, l’attenzione crescente nei confronti della memoria delle tragedie occorse, delle modalità per coltivarla, trasmetterla, farne un monito per il presente, contro il rischio che si isterilisca in formule e rituali, dà grande impulso alla proliferazione di monumenti, musei, memoriali, sculture, libri, fotografie …. Ogni comunità, ogni evento reclama il suo spazio di memoria. E, dunque, anche le sinagoghe distrutte. Per questo, vogliamo concludere con alcuni esempi anomali e originali che ci consentono forse di cogliere aspetti inediti del memoriale di Gottinga.
The Memorial Site a Lindenstrasse a Berlino è frutto della collaborazione tra l’architetto israeliano Zvi Hecker e gli artisti Micha Ullman ed Elya Weizmann. Se la grande sinagoga della città è stata ricostruita sui frammenti originari in tutto il suo sfarzo, la soluzione dei due autori è antitetica, sobria e discreta. Si ispira infatti non all’edificio che fu ma ai fedeli che lo frequentavano. Una sequenza di panche rettangolari in pietra evocano quelle lignee su cui sedevano, occupa lo stesso spazio di allora ma reca il segno del tempo: si interrompono infatti qua e là per lasciar spazio agli alberi cresciuti nel frattempo oppure per consentire al percorso sinusoidale che punta allo scrigno dei rotoli della Legge di seguire il suo corso. Un buon test di memoria: radicato nella storia, ma libera espressione di un architetto e di due artisti contemporanei. Discreta è anche la soluzione proposta dall’artista Margrit Kahl per ricordare la distruzione della sinagoga di Amburgo, progettata nel 1906. Synagogen-monument 1983/88 è la ricostruzione a terra della traccia del tetto dell’edificio originario. La stessa idea è ripresa nel 2017 a Friburgo per la sinagoga costruita tra il 1869 e il 1870. Là dove sorgeva l’edificio, c’è oggi uno specchio d’acqua che ne evoca la sagoma.
A Eberswalde, nella ex Germania dell’Est, nel 2010 il Comune invita alcuni artisti a progettare un memoriale che ricordi la sinagoga distrutta. I vincitori, Horst Hoheisel & Andreas Knitz, di nuovo un architetto e un artista, realizzano l’anno successivo Wachsen mit Erinnerung, un memoriale non finito, in crescita, come l’albero che piantano esattamente dove si trovava l’Aron-ha-Chodesh. Uno scavo effettuato nel luogo dove si trovava la sinagoga consente nel 2012 il recupero dei resti del piano terra. Un muro alto due metri e mezzo senza porte né finestre, eretto dagli autori del memoriale attorno al suo perimetro, lo rende inaccessibile ma il fregio che lo commenta internamente racconta la storia degli ebrei di Eberswalde. E il titolo “memoria in crescita”? Intorno all’albero della Torah cresce una vegetazione fitta e spontanea che assume progressivamente la forma del perimetro della vecchia sinagoga, “un pezzo naturale di foresta nel cuore di Eberswalde”[33], come si dice in termini forestali. Così la memoria asseconda la natura, e viceversa.
Ancora due lavori in memoria di altrettante sinagoghe distrutte. Schulfenster der Erinnerung a Vilna nel 2009, quando la città è capitale della cultura, ricorda una antica sinagoga distrutta dai nazisti e trasformata in scuola dai comunisti. Hoheisel attacca alle finestre immagini trasparenti della sinagoga ma… solo d’estate, a scuola chiusa, perché la memoria che è consentito trasmettere agli studenti è a senso unico: l’occupazione sovietica, non lo sterminio degli ebrei.
Un doppio scenario per Startblöcke der Erinnerung. Nel 1941 Hitler trasforma la sinagoga di Poznań in una piscina. Nel 2004 il municipio decide di restituire all’edificio la funzione originaria, riconsegnandola alla comunità ebraica. Nell’impossibilità di sostenere le spese per la ricostruzione, quest’ultima la vende a una società immobiliare che la destina a un grande albergo con piscina. Secondo atto: invitati a esporre nel Castello del Kaiser Guglielmo II nel centro della città, scelto dall’amministrazione regionale nazista come residenza di Hitler, Hoheisel & Knitz decidono nel 2014 di smantellare simbolicamente la piscina trasferendo alcuni frammenti nella residenza di Hitler nel Castello. L’opera rovescia così la storia: se Hitler ha trasformato la sinagoga in piscina, gli artisti trasformano la sua residenza in una piscina… smantellata.
[1] G. Pagano, Le occasioni perdute, in “Casabella Costruzioni”, n. 158, febbraio 1941, pp. 7-12.
[2] T. Interlandi, Straniera, bolscevizzante e giudaica, in “Il Tevere”, a. XVI, 24-25 novembre 1938.
[3] A. Perilli, Lettera al direttore, in “La Fiera Letteraria”, 13 novembre 1947.
[4] Roma, Archivio Cagli, lettera di H. Wurm a Cagli, 13 novembre 1969.
[5] Roma, Archivio Cagli, resoconto della tredicesima sessione del Consiglio culturale, 14 maggio 1970.
[6] G. Ungaretti, in Corrado Cagli. Skulpturen, Gemälde, Grafische Werke und Wandteppiche aus vier Jahrzehnten, catalogo della mostra (Gottinga, Kunstverein, 3 maggio-7 giugno 1970), s.p.
[7] Roma, Archivio Cagli, lettera di H. Wurm a Cagli, 26 settembre 1970.
[8] Ivi, lettera di Shilling a Cagli, 15 dicembre 1970.
[9] Ivi, lettera di W. Lessner a Cagli, 22 dicembre 1970.
[10] H. Wurm, C. Benincasa (a cura di), Corrado Cagli, la notte dei cristalli, Editrice Magma, Roma 1975, p.176.
[11] C. Cagli, in “Paese Sera”, 24 novembre 1973.
[12] Roma, Archivio Cagli, lettera di Cagli a Lessner, 23 febbraio 1971.
[13] Ivi, lettera di Busch a Cagli, 24 novembre 1971.
[14] Ivi, lettera di Shilling a Cagli, 22 febbraio 1972.
[15] I Tempi di Cagli, a cura di E. Crispolti, M. Crescentini, catalogo della mostra (Ancona, chiesa del Gesù, palazzo degli Anziani, 12 luglio – 30 settembre 1980), Edigrafica Aldina, Roma 1980.
[16] Roma, Archivio Cagli, lettera di Shilling a Cagli, 10 luglio 1973.
[17] Benincasa, in Corrado Cagli, la notte, cit., p. 6.
[18] Ivi, p. 8.
[19] C. Cagli, Discussioni sull’architettura, in “Ottobre”, n. 5, 1932, pubblicato in Il Cagli romano, anni venti-trenta, a cura di E. Crispolti, catalogo della mostra (Siena, Palazzo Pubblico – Magazzini del sale, 19 luglio – 30 settembre 1985), Electa, Milano 1985, p.71.
[20] Ibidem.
[21] Benincasa, in Corrado Cagli, la notte, cit., p. 13.
[22] Wurm, ivi, p. 168.
[23] Ivi, p. 144.
[24] B. Zevi, Giotto rifà la Sinagoga, in “L’Espresso”, a. XXII, n. 5, 1 febbraio 1976, pp. 54-55.
[25] B. Zevi, Ebraismo e concezione spazio-temporale dell’arte, in Pretesti di critica architettonica, Einaudi, Torino 1983, p. 298.
[26] Wurm, in Corrado Cagli, la notte, cit., p. 134.
[27] Roma, Archivio Cagli, lettera di E. Peressutti a Cagli, 12 ottobre 1970.
[28] Ivi, lettera di E. Peressutti a Cagli, 12 luglio 1971.
[29] Wurm, Corrado Cagli, la notte, cit., p. 170.
[30] D. Morosini, in “Paese Sera”, 29 gennaio 1971.
[31] Corrado Cagli, Galleria del Secolo, Roma, maggio 1949.
[32] M. Bontempelli, in Corrado Cagli, catalogo della mostra (Roma, Studio d’Arte Palma, no- vembre 1947), Studio d’Arte Palma, Roma 1947.
[33] H. Hoheisel e A. Knitz su Growing Memory, disponibile all’indirizzo: http://www.knitz.net/ index.php?option=com_content&task=view&id=68&Itemid=143.