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Cavalierato dell’Ordine al Merito della Repubblica Federale di Germania

IL DISCORSO DI ADACHIARA ZEVI

 

Gentile Ambasciatrice,
sono commossa e onorata per l’importante riconoscimento che il Presidente federale tedesco ha voluto conferirmi, su sua indicazione. Grazie di cuore. E grazie per consentirmi con questa bella cerimonia di condividerlo con le persone che lo hanno reso possibile con il loro impegno e il loro affetto.  Senza di loro, senza di voi, non sarebbero esistite né “Arte in Memoria” né “Memorie d’Inciampo”. E’ un riconoscimento per me molto importante anche sul piano personale: nella mia famiglia, fortunatamente scampata alla Shoah, la memoria di quel trauma era ancora così vicina e cocente da spingerla a boicottare a lungo i prodotti tedeschi; io stessa per molti anni ho deliberatamente scelto di non recarmi in Germania. Essere qui oggi insieme, in una così lieta circostanza, è la prova di un lungo processo di elaborazione della memoria che ognuno di noi ha compiuto individualmente, con la propria storia e la propria identità, ma anche collettivamente, mossi da pari desiderio di verità e giustizia. Il disgelo è iniziato per me grazie all’arte contemporanea per la quale il vostro paese è certamente meta obbligata. Ricorderò sempre con grande piacere un viaggio offerto nei primi anni ’90 dall’allora direttore del Goethe Institute Michael Marschall von Bieberstein a un gruppo di storici e critici d’arte italiani per visitare i principali musei tedeschi di arte contemporanea, a Monaco, Berlino, Colonia, Francoforte e Monchengladbach. Un viaggio di estremo interesse nel corso del quale ci divertimmo anche moltissimo grazie alla simpatia e all’ironia di Michael. Ma devo a Jannis Kounellis, il grande artista scomparso lo scorso anno, e alla sua compagna Michelle il corto circuito tra l’arte contemporanea e la memoria. Nel 1990, infatti, da pioniere qual’era, Kounellis ha inaugurato un ciclo di mostre, ancora in corso, dal titolo “Kunstsprojekte Synagoge Stommeln”: nell’unica sinagoga scampata alla furia nazista nei pressi di Colonia e convertita in centro per l’arte contemporanea dopo un accurato restauro, ogni anno un artista diverso è invitato a concepire un lavoro per quel luogo. Un’idea straordinaria: per definizione la Sinagoga, Schola, è luogo di incontro, di studio, di cultura. Perché non riproporre tale sinergia in un luogo storicamente, artisticamente e simbolicamente unico come la sinagoga di Ostia Antica, tra le più antiche testimonianze dell’ebraismo della Diaspora? Grazie all’intelligenza, competenza e lungimiranza dell’allora Soprintendente Anna Gallina è nata nel 2002 la prima edizione di “Arte in Memoria”, con ben 12 artisti, tra i quali naturalmente Kounellis. Alla mostra decidemmo di affiancarne una seconda nella Centrale Montemartini con le immagini delle opere esposte fino ad allora a Stommelm, una sorta di gemellaggio tra sinagoghe aperte all’arte contemporanea. Nessuno di noi avrebbe immaginato allora che saremmo arrivati alle soglie della decima edizione che speriamo di inaugurare nel gennaio 2019. In questi 17 anni ben 46 artisti, di cui 8 tedeschi, si sono avvicendati nelle rovine della Sinagoga confrontando il loro linguaggio con un luogo dalla storia millenaria, che reca ancora oggi le tracce di un passato glorioso. Ogni lavoro ha tratto vantaggio dalla  cornice per la quale è stato pensato, senza per nulla derogare alla sua specificità e autonomia, mentre il luogo, in rovina, è tornato a vivere come fucina culturale, favorendo e incoraggiando il dialogo tra linguaggi artistici di epoche così distanti. In un paese che vede l’arte contemporanea come un attentato alla quiete della mera conservazione, “Arte in memoria” è una sfida; attesta che quando i progetti hanno spessore culturale ed etico e quando le istituzioni li sostengono, il dialogo tra antico e contemporaneo è possibile e proficuo. A conclusione di ogni edizione, gli artisti, da Sol LeWitt a Pedro Cabrita Reis, da Gal Weinstein a Horst Hoheisel, da Michael Rakowitz a Stih & Schnock, hanno lasciato un lavoro nella Sinagoga per la realizzazione di un piccolo parco di arte contemporanea in un sito archeologico.

Catapultandoci ora dal IV al XX secolo, accenniamo alle pietre d’inciampo, gli Stolpersteine, il geniale progetto dell’artista tedesco Gunter Demnig, avviato nel 1993 e dedicato ai 10 milioni di vittime del nazi-fascismo tra il 1933 e il 1945.  Nel 2010 Roma e, a ruota, 22 città italiane, lo hanno adottato portando a oltre 500 il numero complessivo delle pietre sinora installate in Italia, contro le 68.000 che scandiscono il territorio europeo. E’ di tanti il merito di questo risultato: dei militanti dell’Associazione “Arte in Memoria”, dei Municipi, dell’Ambasciata tedesca, dell’Ambasciata israeliana, della Comunità Ebraica di Roma. Gli Stolpersteine rappresentano una rivoluzione del concetto stesso di monumento: non più un’opera unica, granitica, retorica e celebrativa, ma un mosaico di memorie a scala europea le cui singole tessere rendono tangibile l’immanità della tragedia. Discreti, diffusi, invisibili se non inciampandovi, tutti uguali ma tutti diversi, sono installati dove il dramma dei singoli e delle loro famiglie si è compiuto: la soglia di casa da dove sono stati brutalmente strappati, nell’indifferenza dei vicini. Che un artista tedesco decida di dedicare la sua vita alla costruzione di un monumento che non avrà mai fine è una scelta profondamente etica ed eretica. Demnig installa personalmente ogni pietra: inginocchiandosi per  fissarla al suolo, rende omaggio alla vittima cui è dedicata.  Memore forse del gesto coraggioso e memorabile del Presidente Willy Brandt quando, nel 1970, s’inginocchiò davanti al monumento che ricordava gli eroi del ghetto di Varsavia. Gli Stolpersteine riportano a casa chi non ha lasciato traccia di sè, gli restituiscono un nome e una storia, forniscono ai famigliari e a tutti i cittadini un luogo e un modo per ricordarli. Un’idea semplice e per questo così efficace, soprattutto per i giovani che partecipano ogni anno con entusiasmo alla sua realizzazione.

La Germania è un grande cantiere della memoria, ma è anche un luogo di riflessione ed elaborazione artistica per individuare soluzioni che le consentano di non scadere nella routine della mera celebrazione. Basti pensare allo squarcio operato nel cuore di Berlino dalla griglia sconnessa e sbilenca del Memoriale agli ebrei uccisi in Europa di  Peter Eisenman, al percorso impervio, claustrofobico e angosciante del Museo Ebraico progettato da Daniel Libeskind, ai contro-monumenti che, nello scomparire fisicamente, affidano allo spettatore il compito della memoria.

Cara Ambasciatrice, cara Suzanne, i progetti cui avete rivolto la vostra affettuosa e generosa attenzione hanno rinsaldato nel tempo le relazioni tra l’Associazione “Arte in Memoria” e l’Ambasciata della Repubblica Federale Tedesca, che non ha mai fatto mancare il suo sostegno e la sua presenza. Ha rinsaldato anche, mi consenta di dirlo, i nostri rapporti personali e ne sono felice. Grazie ancora di cuore a lei e a tutti voi.

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